“Storie raccontante con un lessico colto, importante, poetico, e appoggiate su melodie e armonie, come oggi non si usa quasi più: “Tabula rasa”, un brano in cui Ilaria racconta di amore e di sesso, di corpi; corpi, descritti poeticamente, ma comunque descritti.”

Michele Monina:

“La voce di Ilaria Porceddu, –  probabilmente la più bella tra quelle passate da quel tritatutto che è il mondo dei talent-  è di quelle che ti prendono il cuore e te lo fanno a brandelli,  è capace di portarti in un mondo, il suo, e di fartene partecipe, parlando di corpi, di anime, di storie e di sentimenti, di donne, molto di donne, ma più in generale del mondo, di questo nostro mondo”

“Scrittura di qualità, leggera ma molto profonda, classica, nei suoni e nella composizione, ma contemporanea, per dirla con parole che si usano oggi, globalizzata e local al tempo stesso”

“Un’opera importante e assai bella, ribadisco e sottoscrivo, firmata dalla stessa Ilaria in buona compagnia di un team di lavoro di livello

Gae Capitano:

Non ho mai incontrato personalmente Michele Monina, anche se qualche volta gli ho scritto riguardo le sue disamini intelligenti e taglienti sul mondo della musica. Ma con grande piacere lui ha menzionato più volte la scrittura del mio testo “Tabula rasa”, brano scritto con Ilaria Porceddu e Francesco Gazzè e contenuto in quello splendido album che è “Di questo parlo io”

Il merito è assolutamente tutto della bellezza straordinaria di una artista come poche ne esistono in Italia, Ilaria Porceddu, che – accompagnata dalla formazione di archi GnuQuartett e dal suo pianoforte – ha saputo dare vita ad un piccolo cameo che la critica musicale d’élite ha valorizzato in interviste e articoli, Monina tra i primi.

Felice quindi di aver fatto parte di questo progetto e di aver potuto ricevere una nota positiva da uno dei critici italiani più attenti ed esigenti

https://www.linkiesta.it/2017/04/renzo-rubino-ilaria-porceddu-e-giulia-anania-tre-album-salvifici-per-l/

Di seguito un mix di pensieri estratti dagli articoli che Michele Monina ha dedicato a Ilaria Porceddu, a “Tabula rasa” e al disco “Di questo parlo io”.

Ilaria Porceddu dimostra come sia possibile, oggi, fare bella musica d’autore senza dover necessariamente inseguire le fatue mode del momento ma al tempo stesso producendo canzoni che potrebbero  serenamente passare in radio o in televisione

Non succede quasi mai, se ci pensate bene. Sì, se vi fermate un momento a ragionarci su, vi accorgerete che non succede quasi mai di poter assistere al momento in cui un artista da alla luce la sua opera d’arte.

Così non è nel resto della musica leggera, specie nel pop. È vero, la musica dal vivo è, in qualche modo, arte esibita, ma si tratta di arte che si replica, perché il momento vero della creazione, quello in cui le note prendono corpo, in cui le parole si mettono una dietro l’altra, avviene altrove, lontano dagli occhi e dagli orecchi.

Preso per buono questo assunto, e non abbiamo alternativa, possiamo però gioire, e gioire di cuore quando assistiamo non al concepimento, ma quantomeno al momento in cui un’opera importante e assai bella viene alla luce. Non presenti in camera da letto, parafrasando, ma in sala parto.

È successo ieri, a me e agli altri presenti al Momo Restaurant di Milano, nel momento in cui Ilaria Porceddu ha presentato agli addetti ai lavori e al pubblico il suo nuovo album, Di questo parlo io.

Importante, quindi, perché ci riconsegna un’artista che ha fatto il suo esordio ormai una vita fa nella prima edizione di X Factor ma che, a dispetto di quel che il talent ci hanno poi mostrato nel corso del tempo, impoverendo il cast edizione dopo edizione, e conseguentemente andando a rincorrere personaggi più che artisti, facce più che voci, profili più che anime, a dispetto di quanto i talent ci hanno mostrato è stata capace di riprendere in mano la propria poetica e, affidandosi a chi ha a cuore la musica più che un trend topic del momento, oggi torna sulle scene con un lavoro di grande livello.

Sì, perché Di questo parlo io non è solo un lavoro importante, per i motivi qui detti, ma anche assai bello.

Ed è bello perché Ilaria Porceddu ha una voce di quelle che ti prendono il cuore e te lo fanno a brandelli, come in certe puntate particolarmente azzeccate di Grey’s Anatomy, e si sappia che chi scrive adora Grey’s Anatomy.

con questo ricorso alla lingua sarda in due tracce. Di questo parlo io è un album assai bello perché

Ecco, essere presenti nel momento in cui Di questo parlo io non è come sarebbe stato essere presenti nel momento in cui queste canzoni sono diventate tali, ma è già qualcosa, è già molto. Ci si perde spesso, anche a ragione, a stigmatizzare il brutto. Ogni tanto, è questo il caso, è bene indicare il bello lì dove c’è.

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